Cos’è lo shadow ban e come limita la visibilità sulle piattaforme web

Lo Shadow ban è una pratica di moderazione che consiste nel limitare un utente, rendendo meno visibile il suo profilo o i suoi contenuti, senza che lui se ne accorga.

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Cos'è lo Shadow Ban

Alla domanda “cos’è lo Shadow Ban” si può partire rispondendo che lo shadow ban è l’azione di bloccare un utente, restringendo la visibilità del suo profilo o dei contenuti pubblicati, impedendogli alcune attività o la partecipazione online, senza che l’utente se ne accorga immediatamente.

Che cos’è lo Shadow Ban

In italiano, l’espressione “shadow ban” può essere tradotta come “ban ombra”. A differenza di quando un utente viene bloccato e il suo profilo temporaneamente sospeso per violazione delle linee guida delle community, chi subisce un ban ombra non riceve alcun avviso né indicazioni su come e quando poter riprendere le normali attività dal proprio account. Inoltre, potrebbe non accorgersi completamente delle restrizioni a cui è sottoposto e continuare a vivere l’esperienza utente come se nulla fosse cambiato.

Quando si applica uno shadow ban, i post di una persona sulla piattaforma diventano invisibili agli altri utenti, ad eccezione di se stessa. Nonostante l’esperienza personale nell’utilizzo del sito non cambi, l’utente non può essere visto dagli altri. Secondo The New York Times, lo shadow ban può essere paragonato ad essere esclusi algoritmicamente, citando una docente di social media della State University of New York di Buffalo.

L’avverbio “algoritmicamente” non è casuale: concentrandosi sullo shadow ban sui servizi digitali, soprattutto sui social media, l’approccio algoritmico è il più comune e difficile da individuare, anche utilizzando strumenti appositamente progettati per il test dello shadow ban.

La questione del ghost banning è particolarmente insidiosa quando si tratta di temi come la pluralità degli ambienti digitali e l’imparzialità delle piattaforme. Questo termine, spesso usato come sinonimo di “ban ombra”, rischia di trasformarsi in una discussione sul ruolo delle piattaforme e dei loro gestori nel dibattito pubblico e politico di un paese.

Come e perché le piattaforme limitano, non consentendo di accorgersene, la visibilità di alcuni utenti e contenuti

Quando le piattaforme vogliono limitare la visibilità di un utente e dei suoi contenuti, possono renderli invisibili agli altri iscritti, agli utenti non amici o non seguiti, o a chi non visita volontariamente il profilo. Gli utenti e i contenuti che subiscono shadow banning hanno difficoltà ad apparire su feed e bacheche di altri utenti, così come nelle sezioni di contenuti di tendenza o consigliati, basate sulle attività e gli interessi dichiarati durante l’iscrizione.

A volte possono essere disattivati i commenti e le reazioni sotto ai post o ai thread dell’utente in questione (un sinonimo di shadow ban è comment ghosting), o può essere impedita la partecipazione a determinati gruppi o canali. Queste azioni sono strettamente legate alle regole e ai meccanismi delle singole piattaforme e a come gli utenti interagiscono al loro interno. Tuttavia, queste azioni rischiano di essere meno invisibili e “fantasmagoriche” per gli utenti oggetto di shadow ban che sono più esperti di strumenti informatici e digitali.

Gli algoritmi dei social network fanno shadow banning? Spesso le piattaforme utilizzano gli algoritmi per ridurre la visibilità di determinati contenuti o utenti. Questi contenuti possono essere contrassegnati da specifici hashtag e gli utenti possono avere pochi o nessun follower, un profilo incompleto o molti follower acquisiti rapidamente, segnali che potrebbero indicare l’uso di bot.

Facebook ha dichiarato di aver limitato la visibilità dei post contenenti fake news o notizie non verificate grazie all’algoritmo. Questa è stata la principale strategia iniziale per contrastare le bufale, prima di introdurre etichette e disclaimer che avvisano l’utente della natura controversa dei contenuti Facebook. Gli algoritmi di Instagram dovrebbero scoraggiare nudo, violenza e incitazione alla violenza, così come abitudini alimentari scorrette. Tuttavia, ci sono state alcune controversie riguardanti i nudi artistici e accuse di sessismo nei confronti del social.

Instagram e il suo algoritmo hanno davvero un problema con i corpi femminili?

Gli algoritmi dei social network determinano cosa appare sul feed degli utenti, l’ordine di visualizzazione, le tendenze e i contenuti suggeriti. È possibile manipolare l’esposizione di determinati tipi di contenuto, postati da specifici utenti, in modo che non abbiano visibilità al di fuori del loro profilo. Questo può servire per rispettare le linee guida della community e anche per creare o rafforzare il silenzio intorno a determinati temi o gruppi.

Questa tesi è stata adottata da molte minoranze e gruppi politici estremisti, sia di destra che di sinistra, e dai complottisti. Lo shadow banning, che era originariamente considerato una semplice tecnica di moderazione, è ora visto come un segno di interventismo da parte delle grandi aziende tecnologiche.

Shadow Ban e quali sono stati i suoi effetti nel passato

In un approfondimento di Vice sulle origini dello shadow banning, viene raccontato che già nei MUD come Dungeons and Dragons era comune punire qualcuno rimuovendo il contrassegno di partecipazione al videogioco, impedendogli così di partecipare alle live chat tra i giocatori.

Il libro “Il Dizionario Illustrato delle Telecomunicazioni” spiega che il termine “twit bit” era utilizzato tra gli anni ’80 e ’90 per definire chi aveva avuto un comportamento inappropriato o poco collaborativo sulle prime bacheche elettroniche online. Questa etichetta implicava l’esclusione dalla partecipazione a determinate conversazioni o dall’utilizzo di alcune funzioni specifiche.

Su Craigslist, ci sono state lamentele di utenti bannati in modo subdolo. Hanno ricevuto una email di conferma per la pubblicazione del loro annuncio e hanno potuto vederlo nel proprio account, ma non nella categoria corretta.

Dai forum del web “1.0” ai social bookmarking, lo shadow ban è sempre esistito come metodo discutibile di moderazione dei contenuti e delle conversazioni, con l’obiettivo di creare un ambiente piacevole e costruttivo per la maggior parte dei partecipanti.

La falsa accusa di Trump a Twitter: non c’è stato nessuno Shadowban

I riflettori sullo shadow ban come azione punitiva delle piattaforme principali o come privilegio di certi contenuti e utenti rispetto ad altri sono stati accesi nell’estate del 2018.

Il presidente ex-presidente degli Stati Uniti Donald Trump, da quando il suo account @realdonaldtrump è stato disattivato dopo gli scontri al Campidoglio nel gennaio 2021, ha accusato Twitter di fare shadow banning contro i repubblicani e i sostenitori della destra americana.

Tutto ha avuto inizio con un’inchiesta di Vice che ipotizzava che Twitter potesse limitare la visibilità degli account di alcuni “importanti esponenti repubblicani”, non suggerendo automaticamente i loro @nomiutenti durante le ricerche.

La piattaforma ha chiarito che i profili in questione erano visibili a tutti gli utenti Twitter e rintracciabili tramite la funzione di ricerca, quindi non era corretto parlare di shadow ban. Anche il CEO Jack Dorsey ha definito l’intera questione come un “errore tecnico” e l’ha giudicata “poco imparziale”.

Ciò non bastò a trasformare la vicenda in un’occasione per alimentare la narrativa repubblicana sul boicottaggio dei conservatori da parte delle aziende della Silicon Valley e rafforzò invece la retorica del “bias democratico” di cui le big tech sarebbero vittime, come sostenuto da Trump durante la campagna elettorale del 2020 e successivamente con riferimento alla sua “depiattaformizzazione”.

Il fenomeno Shadow Banning sui social

Twitter non è l’unico social network che è stato criticato per il presunto shadow banning a causa della segretezza dei suoi algoritmi proprietari.

In Cina, nel 2016, WeChat è stata accusata di rimuovere arbitrariamente post con termini presenti in una “blacklist” governativa: non è un segreto che Pechino eserciti un controllo rigoroso sull’uso di Internet e dei servizi digitali da parte dei cittadini.

TikTok è stata accusata di ridurre la visibilità ai contenuti critici sul governo giapponese. Ad esempio, una ragazza ha dovuto fingere un tutorial di trucco per parlare dei lager cinesi in cui sono rinchiusi i musulmani. Inoltre, cittadini cinesi residenti o temporaneamente negli Stati Uniti sono stati censurati per mostrare il loro supporto alle proteste di Hong Kong.

L’app delle challenge, dei video musicali e delle lip sync è stata accusata di penalizzare contenuti legati a minoranze come la Black Community o la comunità LGBTQIA+. TikTok ha risposto sottolineando di avere linee guida efficaci contro l’odio online e nel mantenere “positive e ispirate” le proprie community. Sono le echo chamber che portano alla proposta ripetitiva di contenuti simili, quelli con cui si è soliti interagire di più.

Durante la pandemia da coronavirus, Facebook è stato accusato di bannare in modo implicito tesi e contenuti critici sulla gestione dell’emergenza sanitaria e sulla richiesta di maggior chiarezza riguardo alle cure domiciliari. L’argomento dello shadow ban da parte delle grandi aziende tecnologiche, che sarebbero complici di presunti poteri forti, è diventato un punto centrale per molti gruppi complottisti e cospirazionisti.

Tuttavia, sono state sollevate numerose accuse di tolleranza nei confronti dei gruppi frequentati dai no vax, all’interno dei quali si diffondeva propaganda anti-vaccino con argomentazioni poco valide.

Durante il ritiro delle forze americane da Kabul nell’agosto 2021, Facebook è stato accusato di ridurre la visibilità dei post e dei contenuti che riportavano notizie sull’Afghanistan, forse per evitare la propaganda talebana.

Suggerimenti su come evitare Shadow Ban Instagram

Lo shadow ban sui social media può avere implicazioni politiche significative. Tuttavia, per influencer e content creator professionisti che cercano di monetizzare la propria presenza digitale, la riduzione della visibilità del proprio profilo o dei propri contenuti da parte dei gestori della piattaforma rappresenta un problema sia in termini di numeri che di vanity metrics.

Secondo HubSpot, l’Instagram shadow ban è quando il contenuto di un utente viene nascosto o limitato senza che l’utente ne sia informato. Questo accade principalmente quando l’utente ha violato le linee guida della community di Instagram o il suo contenuto è ritenuto inappropriato. Gli utenti che sono stati sottoposti a shadow ban non vedranno i propri contenuti visualizzati sul feed di altri utenti, né nella sezione “Scopri” o nelle pagine degli hashtag.

Per molto tempo sono state diffuse in Rete e tra gli utenti di Instagram liste di hashtag “proibiti” che, secondo alcuni, potrebbero ridurre la visibilità dei propri post sulla piattaforma (in particolare, hashtag legati alla pratica del “follow for follow”). Inoltre sono state condotte varie prove per verificare se si è vittime di un “shadow ban” su Instagram. Un semplice test consisteva nel pubblicare un’immagine con un hashtag inventato appositamente e chiedere a qualcuno che non è già un follower di cercare quell’hashtag e verificare se il contenuto risultasse visibile.

Il team di Instagram ha sottolineato che le variazioni nella visibilità dei post e nella popolarità del profilo sono normali a causa dell’algoritmo di Instagram.

Nel suo comunicato, la piattaforma ha negato esplicitamente di aver effettuato shadow banning e ha specificato che eventuali limitazioni alla visibilità di contenuti o account sono state applicate solo in casi di violazione delle policy o di attività sospette come l’acquisto di follower.

Chi vuole guadagnare con Instagram deve fare attenzione a metriche che segnalano un ghost banning e evitare azioni che limitano il proprio profilo e i contenuti su Instagram.